Igiene: la colpa di essere piccoli

Millevigne

Il concetto che i prodotti alimentari industriali e confezionati siano più “controllati” e quindi più sicuri di quelli artigianali è abbastanza radicato. Ma vari fatti recenti di cronaca, dal cavallo clandestino in sughi e  lasagne, all’inquinamento biologico di  vari prodotti dispensati nel self service IKEA, fino alle ultime notizie che coinvolgono giganti come Star e Nestlé, disegnano una scenario ben diverso:  più una catena di produzione è lunga e complicata, più è difficile ricostruirne tutti i passaggi, tracciare l’origine delle materie prime e assicurarne la qualità.

Con questo non si vuole dire che il prodotto “industriale” sia per sua natura pericoloso: ma piuttosto che il rischio alimentare dipende dalla qualità dalle persone che prendono le decisioni strategiche e controllano i fornitori, più che dalla dimensione delle imprese; e che, comunque, è più facile assicurare la qualità e la sicurezza su scala piccola che grande.  Esiste anche un dato economico: nell’industria il profitto si gioca sui grandi numeri, quindi è molto importante risparmiare sulla materia prima. L’artigiano non ha azionisti affamati a cui presentare trimestrali di cassa, dimostrandosi un grande manager per aver risparmiato dieci centesimi su un chilo di carne: risparmio che si tradurrà magari, almeno in parte, in un “bonus” in denaro per il manager, evidenziando uno degli aspetti più irrazionali e perversi del capitalismo moderno. 

Non è accettabile, in questo contesto, che ai piccoli produttori, di vino, formaggio, o altro, si impongano continuamente nuove vessazioni e nuovi investimenti sui loro impianti, per fronteggiare rischi sanitari inesistenti. Il livello di rischio microbiologico o sanitario è strettamente legato alla complessità della filiera, al numero di passaggi che un bene compie prima di diventare materia prima per quella lavorazione,  e al tipo di lavorazione: un macello non è un panificio, una pasticceria non è una distilleria, una gastronomia non è una cantina. Chi applica le norme in modo pedestre (non tutti, va detto) mette tutto e tutti sullo stesso piano perché, semplicemente, ignora la natura dei processi e dei prodotti , e quindi dei rischi.

Per fare un esempio, un birraio artigianale mi raccontava che a stento è riuscito a evitare un verbale per qualche riga sul pavimento appena fatta dalle gomme del muletto, ma nessuno ha verificato cosa ci fosse nei tubi dell’impianto di imbottigliamento.  Come era quel detto sul dito, la luna e lo sciocco?

Anni fa, quando uscì la normativa sull’HACCP, un funzionario con compiti ispettivi disse in una riunione che la ristorazione non doveva più usare i formaggi a latte crudo. Fu molto sorpresa di sapere che tra questi c’è il Parmigiano, per il quale si ignorano casi storici di intossicazione alimentare, benché si produca da ottocento anni, e del quale, con tutta evidenza, la ristorazione non può fare a meno. Sul piano organolettico molto ci sarebbe poi da dire sul ruolo della microflora spontanea nella tipicità territoriale dei prodotti (soprattutto i formaggi, ma in parte anche i vini, il pane e altri alimenti), e sull’impatto deleterio che hanno su di essa le fobie igieniste.

A dispetto del fatto che in Europa dovremmo avere tutti la stessa disciplina, chiunque abbia visitato piccole aziende in Francia, Gran Bretagna, persino Germania, cioè paesi avanzati e con un sistema sanitario molto efficiente, si è potuto rendere conto che l’attenzione a una serie di dettagli da parte delle autorità è più ispirata al buonsenso, e alla conoscenza dei processi,  che allo zelo, e che gli ambienti di lavoro  dove operano i piccoli artigiani (salvo lavorazioni che comportino rischi elevati), pur rispettando le norme igieniche fondamentali, sono lontani dalla sala operatoria che molti ispettori delle nostre ASL vorrebbero vedere qui da noi. Gli aneddoti che molti produttori hanno da raccontare passano i confini del ridicolo. A pena di verbali, sanzioni, prescrizioni sempre più impossibili da rispettare perché i soldi per gli investimenti non ci sono più, sono finiti, e buona parte se l’è presa lo stato.  Uno stato sempre più severo con contribuenti spremuti fino all’osso, ma sempre indulgente con se stesso: lo vediamo quando entriamo in alcune strutture sanitarie pubbliche, obsolescenti e malandate, dove molte norme igieniche sono puntualmente disattese: senza che questo, salvo casi estremi, generi verbali, sanzioni, sequestri o la semplice rimozione di qualche manager superpagato.

Si potrebbe obiettare che proprio dal Nord Europa sono arrivati i più eclatanti casi di inquinamento degli alimenti degli ultimi anni, quindi il nostro sistema è migliore: può darsi, ma in realtà tali problemi non sono mai stati generati da lavorazioni artigianali, ma sempre da catene produttive e distributive grandi e complesse: evidentemente è proprio qui che i controlli si dimostrano inadeguati.