Vignaiolo Vespa, lascia che ti spieghi

Millevigne Blog

Basta avere una vigna e una bottiglia con il proprio nome in etichetta per definirsi vignaiolo? Parrebbe la classica questione di lana caprina, e tale sicuramente pare a Bruno Vespa, diventato di recente anche produttore di vino, con l’originale scelta di Riccardo Cotarella come consulente enologico.

Il noto giornalista televisivo è stato recentemente canzonato da alcuni “viticoltori digitali” su twitter per la scelta dell’account @VespaVignaioli. Il messaggio è chiaro: tu sei un giornalista con l’hobby del vino, non vai a potare, a zappare e a dare il verderame, ergo non sei un vignaiolo ma al massimo un gentiluomo di campagna a part-time. Con ottime relazioni personali che probabilmente ti renderanno più facile la cosa più difficile del vino, cioè venderlo.

Vespa (ma è davvero lui che twitta?) non l’ha presa bene e ha risposto piccato, con accuse di enosnobbismo (questa è bella), astio e livore. Personalmente non ho notato nessuna delle tre cose, ma la reazione dell'augusto portinaio di Porta a Porta, o di chi ne fa le veci, in fondo mi è piaciuta. Essa é indice di un desiderio sincero di far parte di una comunità, una specie di "passate la palla anche al bambino straniero".

Altri, al suo posto (mi viene in mente un altro nuovo “vignaiolo”, uno coi baffetti) avrebbero probabilmente ritenuto indegno abbassarsi al livello dei suoi critici: una sovrana e superiore indifferenza, al massimo una spruzzata di repellente per zanzare, avrebbero chiuso il discorso.

Vespa invece accetta il confronto con vignaioli veri come Luca Ferraro, Armin Kobler, Gianluca Morino, Roberto Porciello (tutti amici nostri ovviamente) e loro se ne stupiscono: non sono abituati a ricevere risposte ai loro mugugni; il contadino non si aspetta mai di essere ascoltato dai potenti (e che Vespa sia un potente non ci sono dubbi), neppure per esserne poi redarguito.

Perciò con sincera stima (almeno per il giornalista, per il produttore direi che è un po' presto) e un po’ di pazienza vorrei provare a spiegare a Bruno Vespa perché i vignaioli si sentono non dico offesi, ma leggermente contrariati dal suo definirsi vignaiolo.  

Avvocati, giornalisti, ingegneri, agronomi hanno un ordine professionale che disciplina l’uso e l’abuso della qualifica (anche se nel caso degli agronomi la tutela è normalmente disattesa, anche sulla RAI): i vignaioli no.  Quindi non è vietato a Bruno Vespa, proprietario di vigneti, definirsi vignaiolo.

Ma i vignaioli italiani, soprattutto negli ultimi anni, in un percorso parallelo a quello dei vignerons francesi (ricordo i convegni di Montpellier e di Montecatini “Vignerons d’Europe” di alcuni anni fa), hanno maturato qualcosa di simile a quella che Marx chiamava coscienza di classe. Per loro, ma anche per il dizionario italiano, essere vignaiolo ha un significato molto preciso: come l’artigiano, il vignaiolo è uno che partecipa direttamente e manualmente alla produzione, e lo fa per tutto il tempo della sua vita, salvo quello, che non è poco, che deve occupare a riempire scartoffie e a darsi da fare per il mondo per vendere il vino.  Per lui ci sono poche domeniche e poche vacanze, molta fatica, molti affanni e, salvo un’esigua minoranza che ha avuto la fortuna di nascere in alcune zone privilegiate, pochi soldi. Ma nonostante tutto, anche se il contadino è per definizione un lamentatore, non sono affatto infelici, perché fanno quello che per loro è il più bel lavoro del mondo e ne sono orgogliosi. Ed è proprio per questo grandissimo orgoglio che se il Marchese de’ Frescobaldi si definisce un contadino, e Bruno Vespa si definisce un vignaiolo, il loro pensiero corre a un vecchio sketch di Totò (ma mi faccia il piacere!).

Ciò nonostante, sono sicuro che tra Vespa, che il vino lo ama davvero, e i vignaioli italiani ci sono e ci saranno storie di amicizia vera, anche se regolarmente punteggiate (caro Bruno, mettiti l’anima in pace) da battute e lazzi più o meno appuntiti.