I maestri dalle scarpe grosse

Millevigne

Come capita ai giovani in generale, nella mia gioventù non tenevo in grande considerazione le osservazioni e i consigli degli anziani, soprattutto se agricoltori privi di una preparazione “scientifica” quale ritenevo, presuntuosamente, di avere allora. Come molti, ho imparato con il tempo ad avere maggiore rispetto per la monumentale bibliografia non scritta, contenuta nell’esperienza  e nelle nozioni tramandate oralmente dai vecchi vignaioli. 
Oggi  quel flusso di informazioni rischia un’interruzione, con la dispersione di buona parte di quel patrimonio, con i suoi limiti ma anche con il suo enorme valore complessivo. L’avvento della meccanizzazione, con la conseguente modifica degli impianti e della “gestione della chioma”, ha dato una scossa; intanto una chimica di sintesi raffinata, in grado di fornire risposte mirate, suggerisce l’idea che molte vecchie conoscenze non siano più utili: ecco la malattia, ecco la medicina. Ma la realtà è più complicata, perché il vigneto è un ecosistema complesso e fragile.

Ma soprattutto è cambiato il rapporto del viticoltore con la vigna, dove passa meno tempo di prima, e a gran velocità. In parte perché le macchine hanno velocizzato tutti i processi, e ciò che si vede camminando non si vede dai vetri di una cabina insonorizzata in movimento a 7 o più chilometri l’ora; in parte perché il vignaiolo, soprattutto quello che trasforma e commercializza in proprio, è diventato sempre più “multitasking”, tra cantina, fiere, viaggi di lavoro, modelli da compilare, uffici tra cui rimbalzare al fine di farsi “controllare” (?!). I vignaioli vivono questa condizione con grande pena, e rimpianto del loro cielo e della loro terra, ma non possono farne a meno.

Per scendere su un esempio concreto, in trenta anni ho notato in campagna un progressivo calo delle conoscenze sulla biologia della peronospora, e una conseguente maggiore confusione sulle strategie di difesa, a cui pone rimedio, ma solo in parte, la disponibilità di prodotti più efficaci e dalla più lunga persistenza d’azione (e dal costo relativamente minore che in passato, che ne favorisce un certo consumo “di lusso”). Nei primi decenni del novecento, a seguito degli straordinari, per quei tempi, lavori di ricerca di prestigiosi patologi italiani come Goidanich e Baldacci, si formarono in Italia, a partire dal Piemonte, i consorzi antiperonosporici, avviando il metodo della lotta guidata. Tre volte al giorno si rilevavano umidità e temperatura, nelle capannine di legno installate nelle campagne; a questo si accompagnavano meticolose osservazioni sulla vegetazione. Il lavoro era assegnato agli agricoltori più esperti e scolarizzati (che voleva dire, nel migliore dei casi, la quinta elementare), che nei giorni di mercato della cittadina capozona si incontravano tra loro e con i tecnici dell’ispettorato agrario con i loro registri, fittamente compilati a matita e ripassati con il pennino, in bella calligrafia. Quando c’era l’allarme “verderame” i parroci suonavano le campane. Il “segnalatore” era il riferimento degli agricoltori del suo paese e promuoveva una diffusione dell’ informazione capillare, e di qualità più che buona per quei tempi, consentendo un notevole risparmio di trattamenti rispetto alla lotta “a calendario”. 

Oggi i dati climatici si controllano da un computer, i modelli matematici per le infezioni si sono affinati, le previsioni del tempo sono attendibili, e gli allarmi arrivano sul cellulare, dove esiste un sistema organizzato. Ma spesso tale opportunità è solo teorica, visto che le nostre Regioni hanno in gran parte abbandonato al loro destino i servizi agrometeorologici e di assistenza tecnica pubblica, e i privati non sempre hanno saputo organizzarsi in consorzi o cooperative (o meglio, utilizzare a questo scopo le aggregazioni esistenti) per fronteggiare la lacuna. In altre parole, un lavoro che oggi sarebbe più preciso e molto più facile che in passato, forse lo si faceva meglio, almeno in alcuni casi, in passato, con attrezzi di fortuna e analfabetismo diffuso. Inoltre questa “facilità” di acquisire informazioni è una medaglia che ha il suo rovescio nella apparente minore necessità, da parte del viticoltore, di conoscere in modo accurato quello che accade nel suo vigneto. Con il rischio di non saper più leggere i segnali della pianta, fare più trattamenti del necessario o non saper fronteggiare situazioni impreviste. La tecnologia è un supporto molto utile alle decisioni, ma non sostituisce l’uomo. Non sostituisce i maestri dalle scarpe grosse.