Il digital divide (detto in italiano)

Millevigne

ART. da Millevigne n°2 - 2013 (editoriale) - www.millevigne.it

Divide, terza persona del verbo dividere. Il “digitale” traccia nuovi confini. Sono confini geografici, tra zone che hanno accesso alla banda larga, o almeno a una adsl veloce,  e terra degli esclusi, di cui fanno parte molte zone rurali. Ma ci sono altri confini, e sono quelli tra le persone e tra le aziende  per le quali internet è un fondamentale strumento di lavoro, e altre per le quali è solo un mezzo di comunicazione che sostituisce altri più antichi. Spesso i due confini si sovrappongono per banali motivi tecnici, e questo è il digital divide detto in inglese (divaid). Che vuol dire esclusione, almeno parziale, di tanti cittadini e tante imprese da quell’accesso alla rete che, nel tentativo di colmare il ritardo accumulato negli anni precedenti, il governo Monti, con la sua agenda digitale, aveva per primo definito come un diritto di cittadinanza, abolendo nel contempo alcuni vincoli anacronistici che ostacolavano tale accesso, come l’obbligo di registrazione per gli accessi wi-fi (legge Pisanu).

Un laccio che comportava, ad esempio, qualche bel punto di competitività perduta per le aziende che operano nella ricettività, comprese le cantine con un punto vendita e degustazione (su questo numero un ottimo articolo di Katrin Walter su come “farsi trovare in rete”). Le cose stanno migliorando ma l’Italia è ancora molto indietro nelle infrastrutture digitali. Di questi problemi, e di altri, si è parlato recentemente in un incontro organizzato a Nizza Monferrato (#digitalbarbera), dove il presidente dei Produttori del Nizza, Gianluca Morino, ha candidato il suo territorio a snodo di una rivoluzione digitale del vino italiano. Morino è un indefesso “smanettatore” sui social network, soprattutto Twitter. Non è detto che rappresenti un modello per il vignaiolo del terzo millennio, e non ne ha l’ambizione. La sua è una passione, ma è un dato di fatto che i suoi 4500 “follower”, persone che da tutto il mondo leggono i suoi tweet, e le sue iniziative sulla rete (come #barbera2, progettata insieme a Monica Pisciella) hanno contribuito in maniera determinante a creare una solida rete commerciale per i suoi vini (che sono anche buoni, se no il discorso non vale) in tutto il mondo. Per questa via ha trovato partner commerciali a Taiwan, in Estonia e parte degli Stati Uniti e ancor più ha sviluppato il mercato italiano. “Non parlo quasi mai della mia cantina, ma delle stagioni, del lavoro e soprattutto del territorio” ha spiegato. Non celebrarsi, ma raccontare. Qualcuno si chiederà malignamente quando l’enologo Morino trovi il tempo per la campagna o la cantina: chissà perché un produttore che passa metà dell’anno, o più, all’estero per promuovere i suoi vini non è circondato dallo stesso alone canzonatorio di chi, spendendo molto meno tempo, si connette con il mondo nella pausa di un travaso o di una potatura. Indubbiamente la stretta di mano, la stappatura e l’assaggio, il racconto guardandosi in viso sono i momenti “offline” che nessuno smartphone, per fortuna, potrà mai sostituire.  Ma potrà prolungare nel tempo l’effetto di quell’incontro e prepararne, anche a distanza di anni, uno nuovo, mantenendo vivo il contatto. E intanto stimolare la curiosità di nuovi clienti potenziali. 

Ma il termine “digitale” abbraccia campi molto più ampi. Lo scorso mese ho visitato il gruppo CAVIT, gigante cooperativo trentino, per approfondire il loro progetto P.I.C.A.,  il cui coordinatore Andrea Faustini era anch’egli relatore al convegno di Nizza. PICA ha utilizzato il grande patrimonio di competenze tecniche e scientifiche disponibile in quella regione, soprattutto grazie alla Fondazione Mach di San Michele all’Adige. Ne scriveremo sul prossimo numero, ma posso anticipare che è “roba da marziani”. Un vasto programma di rilievi di campo abbinato ai modelli digitali tridimensionali del territorio consentono a CAVIT di sapere praticamente tutto di ogni singola particella, di ogni socio di ogni cantina aderente al gruppo: tipo di suolo, ore di luce in un certo giorno dell’anno, esposizione, rischi di malattie, di stress idrico o di gelate, probabili date di maturazione e vendemmia.  Questo su 5.500 ettari. L’aspetto più straordinario del progetto sta nella qualità e capacità collaborativa di questo gruppo, dei suoi viticoltori e dei suoi tecnici: ma anche l’aspetto tecnologico è fondamentale, perché senza le tecnologie digitali nulla di tutto ciò sarebbe possibile. 
A proposito: tutto il Trentino ha oggi internet a “banda larga”, un alto tasso di scolarità tra gli agricoltori, servizi tecnici di alto livello, in parte pubblici, e molta ricerca applicata. I vignaioli delle province di Trento e Bolzano sono stati mediamente, negli ultimi tre decenni, i meglio pagati per ettaro d’Italia. C’è un collegamento? Ne ho il vago sospetto.