La sterilità maldestra

Slow Food

RIVISTA SLOW FOOD, 2012

La sterilità maldestra

Maurizio Gily

“Germi e batteri sono sempre in agguato, si diffondono tra le persone e sulle superfici ed inevitabilmente arrivano anche nelle nostre case”. Prendiamo a caso dal web uno degli innumerevoli messaggi terrorizzanti con cui si pubblicizzano detersivi, detergenti, elettrodomestici, spesso più inquinanti che salutari, facendo leva su una delle più comuni fobie del nostro tempo: la paura dei “microbi”.

A partire dalle scoperte di Pasteur è noto che alcuni microrganismi siano agenti di malattie: si chiamano, appunto, patogeni. Rappresentano un’infinitesima parte della popolazione di microrganismi con cui veniamo a contatto ogni giorno nella vita quotidiana: li mangiamo, li beviamo e li respiriamo a miliardi e molti di questi sono utili, se non indispensabili, alla nostra vita.  Ma, a causa delle mutate condizioni di vita e di alimentazione, i nostri contatti con il mondo dell’infinitamente piccolo si sono ridotti e semplificati: e questo è, sostanzialmente, un male.  Theoodor Rosebury, batteriologo della Washington University,  teorizzava già nel 1962 che la comunità di “germi” presenti nel corpo umano, con la sua fitta rete di relazioni, rappresentasse il più potente baluardo contro l’invasione da parte di altri germi, responsabili di malattie: “Il mito secondo cui i germi e la sporcizia sono sempre nostri nemici è pericoloso e ha un prezzo”.
Secondo il microbiologo Giusto Giovannetti “nella nostra alimentazione ci sono sempre meno cibi freschi e fermentati, e sempre più cibi conservati al freddo e coltivati in condizioni di bassa popolazione microbica dell’ambiente di produzione, campo o allevamento. Questo può avere conseguenze negative: aumento di allergie e intolleranze alimentari, di malattie autoimmuni, e persino di alcune infezioni alimentari, perché il rapporto tra organismi patogeni e non patogeni si squilibra facilmente a favore dei primi quando nei processi di produzione gli equilibri naturali tra microrganismi vengono alterati”.  Un aspetto che spesso sfugge agli ispettori sanitari dell’agroalimentare è che la ricerca di una “sterilità maldestra” può essere più pericolosa della gestione di un ambiente microbiologicamente popolato ma sano ed equilibrato. La supposta maggior igiene dei prodotti “industriali” rispetto a quelli artigianali è quindi spesso un rovesciamento della realtà. In alcuni processi i batteri vengono aggiunti, per occupare nicchie ecologiche altrimenti possibile preda di patogeni (come Listeria e Clostridium) e, in altri casi, favorire fermentazioni positive: è il caso dei lattobacilli utilizzati negli insaccati e sulle verdure di quarta gamma, cioè quelle nei sacchetti, pulite e pronte all’uso. Il caso dell’intossicazione da Escherichia coli dello scorso anno in Germania, in un primo tempo falsamente attribuita a cetrioli concimati con letame, sembra fosse legato in realtà a germogli insacchettati, un processo tipicamente industriale.
 Parlare di microrganismi e cibo ci porta direttamente al tema degli alimenti fermentati, che rappresentano per noi circa il 20% e fino al 50% e più i paesi più poveri.  Processi per lo più governati dall’uomo attraverso un “know how” maturato attraverso molte migliaia di anni. Non solo vino, birra e yogurt ma pane, formaggio, insaccati sono tutti cibi trasformati da microrganismi, lieviti e batteri, attraverso processi che li rendono più conservabili e ne stabilizzano i caratteri nutrizionali, rendendoli spesso anche più ricchi di vitamine e aminoacidi essenziali. I bambini nati e nutriti da madri che soffrono di carenza in tiamina possono sviluppare il Beri-Beri con conseguente morte nei primi tre mesi di vita per deficienza cardiaca. I microrganismi coinvolti nella fermentazione del Tapè Ketan (fermentazione di origine indonesiana in cui il riso viene inoculato con una soluzione madre precedentemente preparata, trasformandosi in un dolce-acido e leggermente alcolico) sintetizzano tiamina, risolvendo questo problema. Altro esempio è l’Idli, prodotto tipico indiano, sorta di pane leggero dalla fermentazione di riso e ceci neri, che vede un incremento della vitamina B12.
Negli ultimi tempi molti processi fermentativi sono stati oggetto di forti semplificazioni e impoverimenti. Ad esempio la fermentazione lattica che conferisce la caratteristica acidità al pane casereccio praticamente non esiste più. La riduzione della biodiversità anche in questo caso non è certamente un bene.
Sul piano organolettico c’è anche da registrare l’effetto negativo, attestato sperimentalmente, di un’eccessiva sterilizzazione negli ambienti di caseificio e di norcineria sulla complessità gusto-olfattiva dei prodotti. Anche nella vinificazione oggi molti produttori preferiscono tornare alla fermentazione spontanea, che, se ottenuta in condizioni ottimali, può dare vini di maggiore complessità, in luogo dell’inoculo di lieviti selezionati, anche se isolati da fermentazioni spontanee e non modificati geneticamente. 
Un tema cruciale è quello degli antibiotici. Nella medicina umana se ne abusa: per ignoranza, per la solita “ossessione batterica”, per prevenire complicazioni anziché rallentare il ritmo e stare a casa quando ci si ammala. La conseguenza dell’abuso è la selezione di ceppi batterici resistenti, che fanno degli antibiotici un’arma sempre più spuntata. “I batteri sono molto più vecchi di noi, hanno circa quattro miliardi di anni – commenta Andrea Rocchetti, microbiologo dell’Ospedale di Alessandria – e l'aspetto saliente della storia biologica è la stabilità del modo di vita batterico. La nostra è in realtà l'età dei batteri, come era all'inizio e come sarà sempre. I batteri reagiscono in modo straordinariamente rapido ai mutamenti dell’ambiente e alle minacce esterne, attraverso mutazioni stabili trasferibili alla progenie o attraverso trasferimenti di materiale genetico, anche tra specie diverse, contenuto nelle cosiddette “cassette geniche”, inducendo la produzione di strumenti di resistenza in grado di rendere inefficaci i nostri più potenti antibatterici. La resistenza agli antibiotici si genera in questo modo, attraverso una pressione selettiva sull’ambiente. Un problema serio è che gli antibiotici non sono solo usati a scopo terapeutico ma anche come induttori di crescita negli allevamenti intensivi entrando nella catena alimentare: il fatto che le molecole zootecniche siano diverse da quelle usate in medicina umana, e che le norme sui residui negli alimenti siano severe, non sono sufficienti ad evitare fenomeni di riduzione della biodiversità microbiologica e di resistenza incrociata. Le condizioni di sovraffollamento di animali degli allevamenti intensivi comportano rischi epidemici e situazioni sub-patologiche che vengono tenute sotto controllo con gli antibiotici.” Per quanto riguarda possibili malattie legate alla “troppa igiene” Rocchetti commenta: “il campo delle malattie autoimmuni è molto complesso, abbiamo molte ipotesi ma poche certezze. Sappiamo però che ci sono intolleranze ed allergie che sono in costante aumento. Ad esempio l’incredibile incremento del numero di celiaci non può essere imputato solamente a metodi d’indagine più sofisticati e attendibili, ma è con ogni probabilità il risultato di uno stile di vita alimentare in peggioramento continuo, che coinvolge sia modificazioni genetiche indotte nel frumento di uso industriale, sia tecniche di raffinazione sempre più spinte. I processi industriali, che mirano alla velocità, modificano la struttura del glutine rendendola meno riconoscibile dall’organismo. Ma altre ipotesi si fanno in merito alla scarsità di polifenoli nella dieta, compresi quelli presenti nei derivati dei cereali, alcuni dei quali sono prodotti dalla pianta sotto lo stimolo di microrganismi. I polifenoli inibiscono un enzima, la glucosiltransferasi, la cui attività è utile ai batteri, come lo Streptococcus mutans, per produrre i glucani (molecole contenute nella placca). La bocca, come altre mucose esterne e interne, è saldamente presidiata da numerose specie batteriche commensali, foriere di numerosi effetti positivi, a partire dalla semplice competitività con specie altrimenti patogene. Un’ alterazione dell’equilibrio tra le specie presenti risulta spesso correlata con patologie della bocca, e lo stesso vale per altre mucose”.

Nel campo vegetale ci sono molte analogie: la comparsa e la virulenza di determinate malattie delle piante coltivate può essere correlata a squilibri microbiologici sia a livello del suolo che dei tessuti vegetali. La ricchezza di microrganismi nel suolo, tra cui i funghi che vivono in simbiosi con le piante attraverso le micorrize, e presenti all’interno della pianta (endofiti) sembra svolgere un ruolo primario per la produzione di antiossidanti naturali e di sostanze aromatiche, che hanno influenza sia sulla tolleranza verso alcuni attacchi parassitari che sulla qualità organolettica dei cibi. A quanto pare meglio di noi se ne accorgono le api. Riporta Giovannetti: “In una prova in campo, effettuata presso l’Azienda La Cremonina (Castelfuego), si è osservato che intorno a un gruppo di piante micorrizate volavano una cinquantina di api, mentre sulle vicine piante non micorrizate se ne contavano non più di cinque. Un campione di fiori e di foglie è stato così tempestivamente trasferito ai laboratori dell’azienda del CRA sita in Caramagna. Le piante micorrizate sviluppano una maggior quantità di aromi dai petali, e ciò può spiegare il maggior richiamo per le api”. Non per niente anche tra i produttori di vino cresce l’interesse verso la pratica della micorrizzazione delle giovani viti all’impianto (nelle piante adulte essa avviene comunque e si sviluppa in modo progressivo: questo può essere uno dei motivi per cui è spesso migliore il vino proveniente da viti vecchie, e questo vale anche per la frutta). 
In conclusione,  i “microbi” sono indispensabili alla vita e la sterilità è l’anticamera della morte. Se l’osservanza delle più elementari norme igieniche conserva la sua validità, sia nella produzione alimentare che nella vita quotidiana, al contrario l’ossessione antibatterica, veicolata attraverso la pubblicità, la scuola, a volte alcune autorità sanitarie, può essere fonte di rischi per la salute e di peggioramento della qualità dei cibi e della vita.

Ringraziamenti:
Andrea Rocchetti, microbiologo, ospedale civile di Alessandria,
Giusto Giovannetti, microbiologo, Centro Colture Sperimentali Aosta