Maurizio Gily

Maurizio Gily

Vitigno, una gabbia troppo stretta?

Published in Millevigne Blog

"Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente, ma la specie che risponde meglio al cambiamento". (C. Darwin)

Tutta la normativa europea sul vino, dalle autorizzazioni alla coltivazione nelle varie regioni ai disciplinari di produzione delle DOP, si basa sul concetto di "vitigno". Un vitigno è la progenie di un singolo seme, moltiplicata esclusivamente per via vegetativa al fine di conservarne intatto il genoma. Ma intatto non è la parola giusta perché mutazioni gemmarie spontanee portano, nel tempo, ad una certa variabilità detta intravarietale, a volte notevole, come quella che ha portato a differenziare i vari Pinot sulla base del colore, tanto da essere considerate varietà distinte. Per questo i vitigni che al loro interno mostrano una maggiore variabilità sono indiziati come i più antichi, in quanto hanno avuto più tempo per differenziare biotipi molteplici. La selezione clonale in fondo non fa che percorrere il cammino inverso a quello della natura, tornando a semplificare ciò che era stato complicato dalle mutazioni spontanee. Di per sé quindi non è una minaccia alla biodiversità (come sostiene qualcuno), ma lo diventa se l'adozione esclusiva di un numero limitato di cloni da parte della produzione porta all'abbandono di tutta la variabilità presente nei vecchi vigneti, che dobbiamo considerare come un patrimonio. Un esempio è quello del deperimento del Syrah, un problema che colpisce soprattutto un certo gruppo di cloni, ed essendo legato almeno in parte (così pare) a una sorta di rigetto della marza da parte del portinnesto, non esisterebbe "in natura", come infatti pare non esistere su vecchie viti franche di piede in aree indenni da fillossera.

Ma la continua propagazione di una pianta per via vegetativa, quindi senza che la riproduzione sessuale giunga, per così dire, a sparigliare le carte, non è una pratica contro natura, che rischia di indebolire nel tempo le risorse della pianta minando la sua "resilienza", cioè la sua capacità di rispondere a mutamenti e minacce esterne? E' una domanda che ho cominciato a pormi vedendo i vigneti di Barbera nel Monferrato, dove abito, devastati dalla Flavescenza dorata, malattia ad oggi incurabile che si manifesta però con una virulenza epidemica diversa a seconda della varietà.

Da un intervento sulla "vite da seme" dei colleghi della "Scuola di Milano" (Scienza, Brancadoro, Cricco) pubblicato sul blog enoico dell'Espresso di Fabio Rizzari ed Ernesto Gentili, traggo questo passaggio:

"Quali i motivi di questa maggiore "fragilità"? Noi crediamo che siano legati proprio all'ormai ultra centenaria propagazione vegetativa dei vitigni da noi utilizzati. La vite, come tutti gli esseri viventi, nel corso della sua vita accumula al suo interno microrganismi che perlomeno ostacolano le normali attività fisiologiche della pianta e sono trasmessi in toto alla discendenza ottenuta per via agamica. Per rendere l'idea sarebbe come ottenere un bel pargolo dal dito del nonno, questo esteriormente presenterebbe tutte le caratteristiche di un neonato ma al suo interno avrebbe la corruzione dell'avo. Questa condizione, che si e incominciato a studiare attraverso la metagenomica, lo studio del DNA non riconducibile al genoma dell'individuo indagato, sta in parte svelando quanto sia complessa la condizione della vite, che risulterebbe più un affollato condominio piuttosto che una semplice pianta.<<Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento>>". Questa citazione di C. Darwin ci offre lo spunto per affrontare il secondo punto che possiamo sintetizzare così: la propagazione della vite per via vegetativa, adottata in via esclusiva ormai da svariati secoli, impedisce la sua evoluzione. In questo periodo abbiamo cristallizzato i vitigni nella forma ritenuta da noi ideale o "true to type" (qui sì che possiamo parlare di eugenetica) ma questi vitigni selezionati dai semenzali perché ben rispondevano alle esigenze e alle condizioni di una viticoltura di un tempo, in alcuni casi medioevale, sono ancora i migliori vitigni per l'attualità?"

Biologi celebri come George C. Williams e Bill Hamilton hanno individuato nella riproduzione sessuale, una strategia riproduttiva complicata ed energeticamente costosa, uno stratagemma della natura proprio per garantire agli organismi superiori questa resilienza all'interno di uno scenario mutevole, a cui i parassiti si adattano continuamente mutando il loro genoma, mentre l'organismo che rimane sempre uguale a se stesso rischia di soccombere.

"Essere clonali equivale a comprare cento biglietti per la lotteria dell'evoluzione, tutti con lo stesso numero". (George C. Williams, 1966)

L'illusione della purezza

Fino all'epoca fillosserica, e spesso anche dopo, i vigneti italiani erano per lo più "contaminati" da varietà diverse da quella principale, e così i vini che ne derivavano. Non solo la fillossera, ma anche i disciplinari delle DOC hanno determinato una semplificazione del panorama, spesso ignorando vecchie varietà locali e aprendo invece le porte a vitigni che con il territorio e la tradizione non c'entravano nulla. Non sempre poi i disciplinari vengono rispettati, e non solo per qualche dolosa furbizia (Brunellopoli insegna), ma anche perché il "vitigno" nella sua definizione accademica può, nei fatti, non essere quello, all'insaputa del produttore e magari per errore dei vivaisti, soprattutto in epoche precedenti all'ampelografia contemporanea che può contare su un'impronta genetica certa. Casi ad ampio raggio riguardarono ad esempio Carmenére al posto di Cabernet Franc, Lambrusco Maestri al posto di Bonarda etc. Come diceva Usseglio Tomasset, noi scriviamo i disciplinari, ma la vite non sa leggere. Un caso emblematico, ma non unico, riguarda il Nebbiolo rosé (così detto dal colore degli apici vegetativi), a lungo considerato una sottovarietà di Nebbiolo presente nelle Langhe (al pari del Michet, il cui carattere distintivo di basso vigore è invece frutto di una virosi...), tanto da farne persino un clone omologato e regolarmente usato per fare Barolo e Barbaresco, pure di ottima qualità: fino a che l'analisi del DNA non scoprì che del Nebbiolo era solo parente stretto. Un assist per chi afferma la superiorità del ruolo del "terroir" su quello del vitigno, ma anche un bel motivo di riflessione. Vale la pena indignarsi per qualche gene sostituito (ne parliamo dopo) quando abbiamo fatto per anni Barolo con un vitigno che non aveva che la metà del "sangue" del Nebbiolo? (chiedo perdono ai genetisti, è una semplificazione per facilitare la comprensione): o quando chiamiamo Falanghina, con tanto di denominazione di origine, due vitigni diversi (la beneventana e la flegrea)?

Creare nuove varietà non è uno scandalo

In frutticoltura (compresa l'uva da tavola) la creazione e l'adozione di nuove varietà è continua. In viticoltura esiste, almeno per i vini di pregio, un blocco dovuto al forte legame con la tradizione, che ha un'enorme importanza sotto molti aspetti, compreso quello del marketing e della comunicazione. La riflessione che vorrei suscitare (perché la verità non ce l'ho) è sull'opportunità di creare, come compromesso, varietà molto simili, o quasi uguali, a quelle "tradizionali", ma capaci, per esempio, di resistere a un parassita. Non è fantascienza: chi ha avuto occasione di degustare i vini derivanti da alcuni incroci ripetuti di Sauvignon blanc con viti "non vinifera" (resistenti alla peronospora) difficilmente riconoscerebbe alla cieca quei vini come "non Sauvignon". Si accettano scommesse al riguardo. Le varietà resistenti sono ormai una realtà con cui produttori e istituzioni devono fare i conti, e presentano vantaggi (abbattimento dei trattamenti chimici) e rischi (la "delocalizzazione" della viticoltura in zone dove oggi il clima non lo consentirebbe, perché troppo freddo, umido o piovoso). Un'altra strada che qualcuno percorre (alcuni viticoltori e la già citata Università di Milano) è quella dell'autoimpollinazione, cioè ottenere semenzali da fiori autoimpollinati della stessa varietà, raggruppando poi quelli più simili ai parentali in una sorta di "famiglia" che potrebbe in futuro (del tutto ipoteticamente) sostituire il concetto stringente di vitigno.

OGM: non aprite quella porta

Certo l'ideale sarebbe produrre una varietà che abbia del vitigno "tradizionale" tutti i geni, più quello, o quei due (continuo a semplificare) che, aggiunti, o sostituendo altri, gli conferirebbero la resistenza a un parassita senza modificare i caratteri del vino. Cosa impossibile da realizzare con gli incroci tradizionali, anche con le più avanzate tecniche di incrocio assistito, ma possibile forse (non è certo) solo con l'ingegneria genetica.

Mi rendo conto che parlare di viti GM per la viticoltura italiana suona, più che come una bestemmia, come un intero concerto di trombe dell'Apocalisse.

Ma non dovremmo invece, sulla base di una corretta valutazione costi-rischi-benefici, e con tutte le precauzioni possibili, riconsiderare questa posizione, per salvare la viticoltura europea da catastrofi come la Flavescenza, o anche solo per abbattere l'impatto ambientale della viticoltura (che consuma il 60% degli anticrittogamici in Europa)? Le ragioni di chi è contrario sono forti e rispettabili: tradizione, natura (benché nella vite coltivata ci sia poco di naturale), legame con il passato, regime normativo internazionale, disciplinari DOC, rischi ancora incogniti di una tecnica comunque invasiva, delocalizzazione. Ciò nonostante, la domanda resta. Rispetto ad altre specie ci sono vantaggi: la vite di norma non si riproduce per seme quindi non preoccupa la deriva di polline, fatte salve le poche aree dove vive ancora la vite selvatica europea; e si tratterebbe di "cis-genesi", operando sullo stesso genere Vitis, se non sulla stessa specie (diversamente che trasferire un gene da un batterio a un cereale, come si è fatto per il mais BT, cioè la transgenesi propriamente detta). In ogni caso trovo ingiustificabile aver bloccato la ricerca pubblica in pieno campo, che avrebbe potuto darci elementi concreti e indipendenti di valutazione, al posto dei cori da stadio OGM no / OGM sì che in Italia hanno finora dominato il dibattito, con argomenti del tipo cibo Frankenstein, fragola pesce, gli OGM vinceranno la fame nel mondo: vere e proprie baggianate, da entrambe le curve dello stadio.

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Alessandria provincia viticola

Published in Libri

Appunti per una storia della viticoltura, della produzione e dei mercati del vino nella "prima provincia viticola del regno"
Amministrazione provinciale di Alessandria, 2009
M.Gily, A.Desana, C. Belltrame, V. Rapetti, 
G. Subbrero, G. Gay, G. Mainardi, F. Rossini, 
D. Roggero. Coordinamento di Maurizio Gily.

Versione online

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Good Bye Mr Mondavi

Published in Altre pubblicazioni

Si può dire che il ‘900 del vino americano sia finito solo ora, con la scomparsa, alla soglia dei 95 anni, di Robert Mondavi, il produttore di origine italiana che ne fu senza dubbio il più famoso e carismatico interprete e protagonista. Chi era Robert Mondavi? Questa è la sua storia: ottima per Hollywood...

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Gavi. Ein anderes Piemont

Published in Wein-Plus.de

Wenn man im Land des Gavi ankommt - oder besser noch: wenn man zurückkehrt - nimmt man einen „Geist des Ortes” war, der aus diesem Territorium etwas Einzigartiges macht und ihn von anderen bekannten Weingegenden im südlichen Piemont wie den Langhe und dem Monferrato (an das es angrenzt) unterscheidet.

Die Ästhetik der Natur im Land hinter den Bergen

Es ist schwierig, diesen Geist zu definieren. Es handelt sich um ein besonderes Licht, eine Helligkeit, die mit den Brisen aus den Bergen im Süden weht und den Nebeldunst nach Norden in Richtung Poebene schiebt. Das Meer sieht man hier nicht, doch kann man es fast fühlen, denn es befindet sich nur etwas mehr als dreißig Kilometer Luftlinie entfernt. Dazwischen liegt das Apenningebirge, und der kleine Wildbach Lemme gleitet hellblau zwischen den Klippen aus weißem Mergel dahin. Es gibt ausgedehnte Wälder mit einheimischen Pflanzen wie der Eiche und der Hainbuche (Carpinus betulus), die hier sogar der amerikanischen Robinie Paroli bieten, die anderswo unaufhaltsam vorgerückt ist und das Territorium besetzt. Die Gegend ist dank der reichen Fauna und Flora besonders bei Naturfreunden beliebt. In den Wäldern kann man im Sommer ein herrlich frisches Klima genießen und im Winter verhüllt der Schnee das Land oft mit einem weißen Kleid, was in den meisten anderen Teilen des Piemonts zu einem raren Ereignis geworden ist.

Die Temperaturausschläge im Sommer zwischen Tag und Nacht sind enorm. Der Weinberge sind meistens jung und gut gepflegt, auch unter ästhetischem Anspruch, weil die Betriebe des Gavi - mehr als andere - um die Integrität der Landschaft bemüht sind und dies auch demonstrieren.

Zwischen den Weinbergen und Wäldern ragen antike Häuser und herrliche Landsitze hervor. Nicht zu prunkvoll und in gediegenen Ausmaßen, elegant und perfekt in die Landschaft eingefügt. Man scheint in ein Reich einer erleuchteten Aristokratie einzutreten, die im Boden nicht nur eine Resource zum Ausbeuten sieht, sondern auch ein Erbe, dass es zu schützen und in der Zeit zu bewahren gilt, und die dieses Erbe sogar als Quelle für den Zeitvertreib beleben mit Jagden, Spaziergängen, Reiten… Verstehen wir uns richtig, Gavi ist nicht nur das und vielleicht ist es auch nicht mehr als das, aber dies ist der Eindruck, den es zuweilen vermittelt und es ist kein unangenehmer. Man kann dem auch historisch auf die Spur kommen. In Gavi und in den angrenzenden Gebieten errichteten die Genueser Kaufmannsleute seit den Zeiten der Republik von Genua mit ihren Einkünften aus dem Handel in der Gießereihauptstadt hier ihre noblen Landsitze. Gavi wurde also für Genua, das ein bergiges Hinterland hat, so etwas wie die Riviera von Brenta mit ihren berühmten Palladium-Villen für Venedig. Und unter dem Schutz einer der Zugangsstraßen, die von der Poebene ans Meer führt, errichteten die Genueser in Gavi eine beeindruckende Festung, die heute noch immer gut erhalten ist. Und der typisch ligurische Tonfall überlappt sich hier mit dem der Einwohner von Gavi zu einem „Grenzdialekt”, der aber etwas mehr vom Piemontesischen hat.

Cortese - Weiß schlägt Rot

Den Gavi-Wein erhält man ausschließlich aus nur einer autochthonen Rebsorte, dem Cortese. Dem Wort „Cortese” begegnet man zum ersten Mal in einem Brief des Verwalters der Burg Montaldeo an den Markgrafen Doria im Jahre 1659. Bis dahin und für lange Zeit danach bestanden die Rebflächen noch eher aus roten Sorten, wie Nibiö (lokaler Name für Dolcetto) oder Barbera. Cortese war, zusammen mit anderen weißen Trauben, nur in geringem Umfang präsent. Die ersten auf Cortese spezialisierten Anlagen großen Ausmaßes gingen ab 1856 auf den Landsitzen im Eigentum des Markgrafen Cambiaso, La Centuriona und La Toledana von Gavi in Produktion.

Im Jahre 1869 definieren Demaria und Leardi, zwei Gelehrte der ampelografischen Kommission, die von der Provinz Alessandria ins Leben gerufen wurde, den Cortese als „einheimische, robuste und fruchtbare Rebsorte, die im Gebiet seit langer Zeit bekannt und kultiviert wird”.

Im 19. Jahrhundert entstanden wichtige Weinbaubetriebe im Familienbesitz der Raggio, Serra, Sartorio und Spinola. Sie begleiteten den Aufstieg des Cortese als Wein von internationalem Format und gleichzeitig das Ende eines Großteils der alten Rebflächen mit roten Sorten. Der Cortese-Anbau weitet sich noch weiter am Ende des Jahrhunderts aus, nachdem er die Bedrohung durch die Reblaus überstanden hatte. Man pflanzt die Reben neu und dehnt gleichzeitig die Anbauflächen aus, um der steigenden Nachfrage nach Weißwein in der nahen Region Ligurien zu entsprechen. Im 20. Jahrhundert war der Erfolg des „Cortese di Gavi” wechselhaft. Er wurde in der Hochzeit der typisch aromatisierten Weine aus dem Piemont - von den ersten Jahrzehnten des 20. Jahrhunderts bis nach dem zweiten Weltkrieg - vor allem als Basiswein für Wermut nachgefragt. In der zweiten Hälfte des letzten Jahrhunderts verdankt man vor allem der Familie Soldati und dem Betrieb „La Scolca” die Aufwertung des Gavi. Die heutige Produktionsrealität ist sehr unterschiedlich, es gibt große Weinkeller, mittlere und kleine, und in allen Kategorien ist es möglich, exzellente Produkte zu finden.

Die Geschütze Ursprungsbezeichnung (Denominazione di Origine Controllata - DOC) stammt aus dem Jahre 1974, mit den Namen „Gavi” oder „Cortese di Gavi”. Mit der Zeit ist der Name der Rebsorte verschwunden. Seit 1993 operiert das Consorzio di Tutela del Gavi (www-consorziogavi.com) und im Jahre 1998 kamen die Weihen der DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita).

Von einem frischen, leichten Wein zum „Vin de garde”

Die letzten zwei Jahrzehnte haben das Image dieses Weins teilweise verändert oder wenigstens haben sie es auf unterschiedliche Weine aufgespalten. Heute ist der Gavi nicht mehr nur als leichter, frischer Weißwein angesehen, der jung getrunken werden muss. Obwohl der Cortese kein großer Zuckerproduzent ist und demzufolge die Weine selten einen hohen Alkoholgehalt besitzen, haben sich durch moderne Weinbau- und Kellertechniken (inklusive einer tendenziell späteren Ernte) die Lager- und Reifekapazitäten dieses Weins enorm verbessert. Wenn der Jungwein duftig ist, mit Noten von weißen Blumen und Zitrusfrüchten, gewinnt er mit der Zeit an Komplexität und bekommt mineralische Anklänge, die gut von einer besonders ausgeprägten Säure gestützt werden. Auch aus diesem Grund eignet er sich gut für die Versektung. Das Spektrum an Düften kann weit sein, aber immer delikat und niemals übertrieben, denn der Gavi ist kein aromatischer Wein, keine „Alkoholbombe”, er ist vielmehr der perfekte „Food Wine” unter den Weißen, hervorragend zu Fisch aber ausgezeichnet auch zu einer Focaccia (Pizzabrot mit Käse), Ravioli mit Käsefüllung, nur leicht gereiftem Käse und vielen anderen Gerichten, zum Beispiel auch einem einfachen Salamibrötchen und der berühmten „Testa in cassetta” aus Gavi, einer Wurst, die aus Teilen des Kalbskopfes hergestellt wird.


Zahlen und Fakten zur Gavi DOCG

DOCG-Anerkennung Durch ein Ministerialdekret vom 9. Juli 1998. Die Region war schon seit dem 26. Juni 1974 als DOC-Region klassifiziert.
Produktionsgebiet

Insgesamt elf Gemeinden: Das gesamte Gebiet der Orte Bosio, Carrosio, Gavi, Parodi Ligure und San Christoforo. Teil von Novi Lingure, Serravalle Scvrivia, Francavilla Bisio, Caprita d´Orba, Pasturana und Tassarolo in der Provinz Alessandria.

zugelassene Rebsorte Cortese
Weinarten

Es werden drei Varianten hergestellt: Stillwein, Frizzante (Perlwein) und Spumante (Schaumwein)

Maxiamalertrag 9,5 t Trauben pro Hektar
Mostausbeute maximal 70 %
Mindestalkoholgehalt

10,5 % Alc. by Vol.

Ertragsfläche (Stand Nov. 2007) 1.224 ha
Flaschenproduktion im Jahr 2006 9.400.000 Flaschen
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